giovedì 17 gennaio 2013
bea
Avevo preso davvero a rimuoverti dalla mia testa, sul serio, ed è stata sì una piccola cosa l’incrociarsi online. Credevo che non ci saremmo più ritrovati, e nella vita dimenticati forse, scaricati in qualche angolo buio della nostra memoria. In tutta onestà Beatrice non so perché tu mi abbia cliccato, te ne stavi invisibile ed io depresso per i fatti miei imploravo lo schermo perché mi fornisse uno spunto di vita vera, passavo in continua rivista l’elenco degli amici connessi a facebook senza trovare alcuno con il quale mi andava veramente di interagire. Sono rimasto basito quando ho letto quelle parole in stampatello minuscolo, il rosso del carattere, il tuo nome sulla finestra di messenger. Basito e lo stupore non è venuto meno per alcuni istanti, mentre cercavo di recuperare nella mia mente tutte le informazioni circa noi due, la nostra relazione la separazione i litigi e tutto il resto, non venendone a capo affatto. Non ricordo nemmeno un terzo delle cose dette e che ci hanno ferito, delle ragioni a monte e al principio; solo il mio puntuale trincerarmi in un silenzio rassegnato quando contavo le settimane, i mesi, le stagioni e tu non eri più che una sfuggevole amica, una conoscente, una passante per la strada dal cui sguardo avrei cercato di, se mai ti avessi incontrata. Che avrei potuto dirti dal vivo io, che potesse rimanerti impresso? E tu, chissà che pensi di me! L’idea di raccontarti della mia vita in un miscuglio di piacere e imbarazzo mi spaventava, così ho preferito tacerti le ragioni del mio stare male. Avevo paura che d’improvviso mi lasciassi con un palmo di naso chiudendo la chat e a me serviva del tempo per parlarti di alcune cose. A dirla tutta, m’inibisce soprattutto il pensare che l’uno per l’altra diventeremo una sorta di involucro vuoto, un simulacro senza ricordi, immemori dell’affetto che ci ha legati in passato. Quando fisso i vecchi al circolino, gli sgraziati accenti che emettono e i porconi che si diffondono nell’aere, i campari rossi allungati con il vino bianco, queste ed altre cose mi riportano a te e ai nostri climi nebbiosi, all’inverno trascorso tra le tue braccia, ai nostri amplessi in auto e te che ogni volta pisciavi e fumavi, come da copione.
Sai che io mi gingillo in cose completamente futili e penso - troppo! - persino penso a tutte le persone che conosci e che frequenti a me ignote, e rimango in disparte, preferendo fingere che tu sia stata solo un accidente nella mia vita, una piccola meteora avvicinatasi e allo stesso modo allontanatasi, senza che la sua orbita abbia inciso sostanzialmente sulla mia. Mento a me stesso e mento agli altri, i miei amici che mi credono in buona sostanza un cazzone che corre dietro alle gonnelle delle ragazzine, per dimenticare le incombenze dell’età. Quale età? Lavorare e morire. E dopo l’università cosa rimarrà? La disillusione, le aspettative disattese, un lavoro ingrato e una vita mediocre. Che incubo terribile. Tu sei una sorta di porto franco, un rifugio, sei tutto ciò per cui la mia anima - la mia anima! - ora si consuma. Non spaventarti se ti scrivo questo, non prendermi per uno sciocco sentimentale. Non so se rallegrarmi per averti vista oggi, non so se incupirmi al pensiero di te che dici di non volermi, di non provare più quell’attrazione, te che dici che sono una persona importante, molto importante. Le tue parole sono pietre e balsamo, croce e delizia. Nella mia maniera distorta e incoerente, io ti ho amata. Un sacco Beatrice, ti ho amata tanto anche se a modo mio, e lo scorso anno tutta la gelosia e l’ansia di vedere il tuo viso mi davano la cifra di quanto tenessi a te, al tuo umore ciondolante, ai tuoi imprevedibili gesti d’affetto, ai tuoi baci. Mi sono rimproverato tante cose dopo la nostra separazione. È come se volessi dimostrarti con tutto me stesso, bada bene t u t t o m e s t e s s o, che hic et nunc tu sei l’amica, la ragazza più ambita e l’unica per la quale sarei disposto a rinunciare ad una parte di me. Mi fai un effetto incredibile. Kant diceva che il genio è la capacità di esibizione delle idee estetiche, la manifestazione dell’intuizione assoluta sottoforma d’arte. Io ti scrivo poche righe che non sono certo un capolavoro di scrittura, tuttavia penso come Wilde che i cattivi poeti siano gli uomini migliori, e più genuini. Io bramo di rivederti, e poi di mantenere una distanza che mi permetta perlomeno di respirare, quando mi stai vicino.
A.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento